martedì 23 luglio 2013

Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij

Questo libro, capitato a caso nella mia libreria e lì rimasto per molti mesi, è candidato ad essere uno dei miei libri preferiti. Sono solo all'inizio ma le "notti bianche di un sognatore" sono la mia specialità.

Dalla quarta di copertina
Questo racconto, apparso nel dicembre 1848, ruota attorno alla figura del "sognatore", figura così cara a Dostojevskij da spingerlo a scrivere, nel 1876, un romanzo con questo titolo. Hoffmann e Walter Scott sono gli ideali del protagonista intellettuale "senza storia", vagabondo incline ai sofismi, timido sognatore che passa come un'ombra ai margini della realtà. Estraneo agli interessi meschini, egli reagisce alla grettezza del mondo, rifugiandosi nelle immagini della sua calorosa fantasia. Staccato così dalla vita, condanna se stesso a una penosa solitudine. Egli è prigioniero delle proprie visioni, e le prospettive immaginose, gli sciami dei sogni, pur avvivando la sua esistenza squallida, squallidissima, gli offuscano il senso della concretezza terrena. Perdendo gli anni migliori, il sognatore finisce col sostituire un'inerte impalcatura di illusioni al brulichìo della vita. Di questo mondo artificiale, che il panorama di Pietroburgo rende più allucinato, egli sente l'inconsistenza e la vanità; soffre di non saper vivere come gli altri, ma non riesce a districarsi dal vischio delle fantasie.

Prefazione di Erri De Luca.

Due anime si parlano dal profondo, senza mai essersi viste prima, come si conoscessero da sempre. Tutto inizia e finisce in quattro notti bianche, nella magia di una Pietroburgo deserta. Un uomo e una donna si incontrano: lui è un sognatore, di ritorno dai suoi vagabondaggi notturni per la città; lei, dall’altra parte della strada, è immobile, appoggiata a un parapetto, e piange. Tutto avverrà in quella panchina e in quello scorcio di canale: il rapporto che nascerà tra loro due sarà tra i più lirici di tutta la letteratura, immune da ogni sentimentalismo, da ogni contraffazione. E se alla fine verrà un giorno di pioggia a rompere l’incanto, nulla di ciò che è stato fatto o soltanto immaginato potrà più svanire.
Secondo Erri De Luca, Dostoevskij “scrive a bassa voce”, ma “rende eroico il più misero soggetto e trascina il lettore di Notti bianche nell’azzardo di un amore notturno tra due creature piccole e grandiose. Si tengono le mani e affidano a quelle gli abbracci promessi”.
C’è qualcosa di insolito in questo racconto, di insospettabilmente chiaro: lo spazio del cielo è grande sopra una città inconsueta, rarefatta e radiosa. La magia notturna della primavera nordica si fa protagonista e diventa il regno della possibilità. Tutto allora può accadere, anche un incontro fatale che sembra sognato o un sogno che prende l’aspetto della realtà. Così si congeda il tormentato, sensibilissimo sognatore dostoevskijano: “Un intero minuto di felicità! È forse poco sia pure in tutta la vita di un uomo?”.



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